La letteratura cucinaria conosce principalmente gli asparagi di Bassano, bianchi e tozzi, ma non conosce un luogo elettivo di coltivazione degli asparagi verdi, più slanciati dei bianchi, che sono i soli ad aver frequentato le cucine mantovane.
Questo luogo esiste, ed è San Benedetto Po, dove un ortolano all'antica, Gino Zilocchi, ne produce di splendidi, avvalendosi solo di fertilizzanti naturali.
L'asparagiaia è una coltivazione difficile, che non sempre dà frutti, ma nelle annate favorevoli compensa anche delle carestie.
Ed è bella da vedere, al momento del raccolto, perché si presenta come un campo brullo, arato e spianato, dal quale spuntano qua e là gli asparagi, che sono i primi germogli della pianta, e si colgono tagliandoli alla base con una "ronchina", una piccola roncola legata in capo ad uno stecco.
Raccoltili li si lega in mazzi servendosi di legacci ottenuti con cortecce di salice, dopo averne regolata la quantità servendosi di una tegola rovesciata, sulla quale si adagiano gli asparagi fino a colmarla.
Mio padre era un estimatore degli asparagi di San Benedetto Po, ed in stagione li teneva sempre a disposizione dei clienti ai quali venivano serviti principalmente come contorno dei piatti di carne, bolliti e conditi con olio ed aceto, od "alla parmigiana", cioè passati al burro dopo la bollitura e coperti con uova al tegamino.
Ma mia madre, quando era in vena di squisitezze, li usava per una pastasciutta imperiale, le lasagne con gli asparagi.
Bolliti gli asparagi, li tagliava a circa tre quarti della lunghezza e con la parte più dura, che i mantovani chiamano "scalsòn", faceva un passato che riscaldava un po' per farlo raddensare, poi lo incorporava in una besciamella piuttosto densa.
Da uno sfoglio di pasta da tagliatelle ritagliava delle lasagne, larghe quattro dita e lunghe una trentina di centimetri, che cuoceva quasi completamente in abbondante acqua salata, conservandole poi su un panno asciutto.
In una pirofila umettata di burro preparava un fondo di lasagne poi distribuiva uno strato della besciamella con il passato, sopra il quale disponeva gli asparagi, ordinandoli secondo quello che sarebbe poi stato il senso nel quale avrebbe tagliate le porzioni.
Ancora ripeteva la distribuzione di lasagne, passato ed asparagi, infiocchettando di burro e spolverizzando di grana grattugiato ogni due strati, sino al riempimento della pirofila. Sull'ultimo strato di lasagne, appena spennellato del composto di besciamella e passato, disponeva in bell'ordine gli ultimi asparagi - aveva avuto cura di conservare per la bisogna i più belli - facendo in modo che il coltello che avrebbe tagliato le porzioni non li dovesse tagliare a mezzo.
Con uno stuzzicadenti appuntito forava in diversi punti la pasta fino al fondo della pirofila, perché cuocendo non si gonfiasse troppo, ed infornava, togliendola quando il colore fortemente ambrato della pasta la avvertiva che la cottura era a puntino.
Subito passava alla tavola dove, fatta bella mostra di sé, la pasta veniva tagliata in porzioni e servita ai commensali ai quali si forniva il grana grattugiato per la canonica informaggiata.
Tratto da:
GIORGIO PAVESI, “ Ciao, ti aspetto da Castone”
Edizioni Tedioli – Mantova, pp. 47-48.